Oggi vado leggermente fuori dai soliti canoni dei miei post, ma non dai temi che mi piace affrontare, per un momento di riflessione sopratutto personale. Vagando per il web mi sono imbatutto nella vignetta, pubblicata nel blog di Andrea Chiarelli, che apre questo articolo (cliccateci sopra per ingrandirla!).
Tante volte ho lavorato per conto di terzi, di aziende e così via e molte volte è vero che mi sono ritrovato nella situazione rappresentata con tanta ironia nella striscia.
Sono convinto che spesso il problema di feedback, di compresione tra le due parti, è dovuto in gran parte al fatto che il cliente non riesca realmente a spiegarsi. Questo non è causato dalla stupidità del committente, ma piuttosto al fatto che essendo molto spesso un investitore estraneo alle dinamiche di progettazione e realizzazione di un progetto, l’assenza di una conoscenza di base, anche terminologica, porta all’errore.
La soluzione? Difficile, per quanto mi sia sempre sforzato è da mettere in preventivo che strada facendo il cliente cambi idea e che noi ci accorgiamo quello che realmente volesse.
Anche se fissare i paletti di realizzazione e sviluppo del progetto all’inizio del lavoro, farsi ripetere alla nausea l’idea, discutere sul prodotto finale per capire se la realizzazione combaci con l’aspettativa, è un buon allenamento per mettersi nella testa del cliente.
Scommetto che è successo anche a te 🙂